Stanza Ovale: Un motore chiamato motivazione 

3 Dicembre 2015

 

Guardare dall’esterno lo sport a volte aiuta a intercettarne e ad analizzarne i piani attraverso cui si realizza.
Lo sport è innanzitutto libera scelta: c’è chi dice che sia lo sport a scegliere noi e non viceversa; ma tutti noi preferiamo esaltare la nostra autonomia decisionale, il nostro “libero arbitrio”.
Quindi lo sport è senza dubbio allenamento, inteso come capacità di lavorare fisicamente anche se, senza alcuna spinta interiore o senza alcun rinforzo esterno risulti davvero complesso creare le condizioni ideali per l’avvio di un percorso sportivo appagante e ricco di crescita.
Lo sport è ambiente, inteso strettamente come luogo all’interno del quale si gioca e ci si diverte, ma anche un ambito costituito da diverse figure chiave. Diceva qualcuno che per educare un bambino ci vuole un villaggio: chi vive una realtà di club molto coesa (in qualsiasi sport) può tranquillamente riconoscersi in questo aforisma a sfondo educativo. L’ambiente, infatti, è condizionato fortemente dalle persone che ne fanno parte: a loro, a tutte loro, spetta il compito di rinforzare gli stimoli positivi in un ragazzo impegnato in un’attività sportiva. Come insegnanti – ci ripeteva spesso il nostro docente di pedagogia all’Università – si deve essere “autorevoli” e mai “autoritari”. Per essere chiari: può essere “autorevole” e “rassicurante” anche la figura del gestore del bar di un circolo, l’addetta al “pro-shop”, la segretaria amministrativa di un centro sportivo.
“Last, but not the least” c’è un aspetto che abbiamo appena accennato: la motivazione.
Sui social network vengono spesso condivisi video che riprendono gli allenamenti degli “All Blacks”.
La bellezza e la potenza di quelle immagini stanno nel loro essere brutalmente didascaliche: in quei video c’è forza, c’è impegno, c’è focalizzazione, ci sono obiettivi, c’è concentrazione, c’è volontà.
Fermarsi a descriverne esclusivamente l’efficacia dal punto di vista “fisico/esecutivo”, equivale a indicare a qualcuno la luna con un dito, e accorgersi che costui si è fissato a guardare il dito.
Gli All Blacks, nel caso non fosse chiaro, non sono “alieni grigi” o “rettiliani” venuti da chissà quale mondo parallelo: sono uomini, esattamente come noi. Si allenano come tanti altri atleti professionisti e lo fanno scrupolosamente. E allora cosa fa di loro l’essere degli “All Blacks”?
La motivazione. Nella dura selezione per fare parte di questa esigua elite di campioni è nascosto tutto il loro segreto.
Il “pettorale” lavorato su una panca piana potrebbe apparire un esercizio banale: non per un uomo che conta di abbattere il maggior numero di avversari con una maglia nera addosso e una piccola felce bianca ricamata sopra. E’ quella maglia (quello l’espediente) a fare la differenza, o per meglio dire, è il percorso compiuto per arrivare a indossarla che la fa.
Da domani, quindi, potremo dire ai nostri ragazzi che potranno diventare i futuri Dan Carter o Richie McCaw? Credo che il primo passo sia quello di cominciare a indicare loro la strada. La motivazione, poi, dovranno cercarla dentro se stessi. A noi – genitori, educatori, preparatori atletici, società sportive – il compito di aiutarli a trovarla.
By Alessandro Cini

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