Incontro con Alberto Magni: i Veterani

26 Maggio 2020

INTERVISTA AD ALBERTO MAGNI: LA SQUADRA OLD

A detta di Claudio Tinari nella sua riflessione sui venticinque anni dell’Unione Rugby Capitolina, quando nel 1996 nacque il Club, i suoi fondatori non avevano le idee chiare su vari elementi, ma un concetto era pronto da scolpire: “dobbiamo dare un campo e una casa a questa neonata famiglia, un luogo in cui tutti siano tutelati a partire dai giovani e dalla loro educazione, senza trascurare i membri che completano il loro percorso sportivo, in una continuità circolare che da sola garantisca la sopravvivenza del sodalizio”.

L’introduzione di una squadra Old nell’ambito del progetto Unione Rugby Capitolina, si inseriva già perfettamente nel contesto di quelle scelte pionieristiche: Onorio Rebecchini, al fianco dell’amico e compagno di squadra quale fondatore, interviene sulla singolarità del fenomeno Old rispetto al tradizionale percorso di altri club. Se è vero, come riferisce citando gli anglosassoni, che “my club is for my life” e chi ne fa parte sin da bambino entra in un circuito di crescita dall’under 6 alla Seniores, è altrettanto significativo il cammino di questi iniziatori. “La logica originaria di creare una squadra che in futuro accogliesse giocatori con anni di maglia capitolina alle spalle, si è invertita: a parte Claudio Tinari, tutti gli altri provenivano da un passato non rugbista, me compreso, o pur avendo giocato in altri club, hanno riconosciuto come proprio il caratteristico clima capitolino, l’accoglienza, il desiderio di solcare quei campi. Protagonisti di un meccanismo inverso, nonostante non fossero cresciuti al suo interno, hanno iniziato a frequentare il Club, a vedere le partite della Seniores”. Prosegue entusiasta Onorio: “Questo è a mio avviso un fenomeno meraviglioso che fra cinque anni si congiungerà con l’arrivo dei vecchi giocatori capitolini pronti a giocare anche con chi non ha vestito da sempre quella maglia, ma ha certo contribuito a onorarla con un impegno fattivo, trasversale, coerente alla spinta che tutti accomuna: la Missione del nostro Club.” 

Gli Old, veri alfieri della tradizione in un Club di soli 25 anni, si raccontano attraverso le parole del loro capitano Alberto Magni. 

Alberto nasce a Roma nel 68’, dove vive sin da ragazzo. Ventitré anni fa sposa Jane, friulana, nata negli Stati Uniti, “per settimane, da ragazzo,  le ho lasciato ogni giorno una rosa sul tergicristalli, senza alcuna reazione!”, oggi hanno quattro figli: Lorenzo, ventun anni, all’Unione Rugby Capitolina dal minirugby all’under 18; Alice, diciannovenne divoratrice di libri, amante dell’arte e dei cavalli, dalle spiccate doti canore che la imbarazzano; Francesco, quindicenne, DJ come il fratello, infine Giovanni, dieci anni, urchino in Under 12. 

Parla con trasporto del padre, avvocato brillante, estroverso, giocatore di Polo, amante del mare. Sua madre era di Atene: in Grecia ritrova se stesso, ama i suoi ritmi, la lingua, la cultura (parla greco e balla il sirtaki). Definisce sua madre una perfetta “first lady”: padrona di casa esperta, imprenditrice dotata, nonna affettuosa, in perfetto sodalizio col marito “fatico a rappresentarmeli distinti, erano fusi in un unico essere”.

Broker assicurativo nel settore delle opere d’arte, Alberto ha giocato a Polo per dieci anni in Italia e all’estero, ha vinto i Campionati Italiani Assoluti con la Scuola Militare di Equitazione nel 1989. Velista per quindici anni ha vinto regate tra cui la prima edizione della “Roma per 2” nel ‘94; determinante il fortunoso colpo di fulmine per la palla ovale, che ricostruisce per noi a viso aperto. 

A quando risale il tuo primo incontro col rugby?

Al 2000, in occasione di una partita del Sei Nazioni tra Italia e Scozia, vinceva l’Italia all’esordio: una vera folgorazione.

E con l’Unione Rugby Capitolina?

Nel 2004, consigliato da un vecchio compagno di scuola col figlio all’Unione Rugby Capitolina ho accompagnato il mio primogenito Lorenzo, ispirato dai solidi valori di questo sport. Impatto non semplice, ero insicuro rispetto alle difficoltà di Lorenzo in campo, all’altalenante voglia di allenarsi. Col tempo ho capito che meno domande ci si pongono sulle prestazioni dei figli, meglio è. È importante essere presenti se strettamente richiesto; lo sport è una pratica personale, non serve creare ingerenze né caricare i figli di aspettative. 

Dopo questo cambio di rotta ho accettato l’invito del papà di un compagno a provare quell’esperienza sulla mia pelle. Un mercoledì sera provai, rompendomi due costole: quell’esordio mi confermò di essere al posto giusto! non ho più saltato un allenamento, coltivando un crescente legame con la Rugby Capitolina.

Chi sono gli Old? Quali sono stati i momenti salienti che tracciano il vostro percorso?

Gli Old nascono nel 2002, qualche anno dopo la nascita dell’Unione Rugby Capitolina. Un gruppo di genitori con figli che frequentavano il Club, soci fondatori e altri amici per lo più ex giocatori (non è mancato chi da altri sport approdasse alla palla ovale), formarono questa squadra di amatori over trentacinque. Misero in campo giocatori di vari livelli, dai più esperti ai più modesti: fu certamente un’occasione per chi sentiva di doversi ancora pienamente esprimere. Posso dire da coordinatore che il gruppo è cresciuto in un sano equilibrio tra regole e divertimento. Ci sono stati nel tempo alcuni cambiamenti di indirizzo: personalmente ho cercato di seguire una linea di avvicinamento degli Old al Club, che devono proteggere senza considerarsi una realtà a sé. 

Come vivi il tuo ruolo da capitano? 

Lo sono solo tecnicamente: delego a un capitano di giornata la responsabilità di ogni singolo evento. Considero l’indiscusso capitano Old Claudio Tinari, se c’è un problema il suo parere è certamente il più autorevole.  

È possibile individuare dei tratti distintivi nel DNA di questa squadra?

È una squadra compatta, organizzata, unita fino a sembrare chiusa, impermeabile alle novità, ma non è così. Siamo molto accoglienti, chi arriva per la prima volta, il giorno successivo è già in campo con noi anche se c’è una partita, senza badare al risultato. Tratto distintivo, che mi inorgoglisce, la solidarietà: una solidarietà sobria, sentita, non ostentata verso chi ha bisogno, fuori e dentro il campo. È senza dubbio una squadra di persone generose. 

Ogni quanto vi allenate? Con che intensità? Quali sono i vostri scopi in una stagione tipica? 

Ci alleniamo due volte a settimana, il mercoledì sera e il sabato mattina.

Giochiamo partite singole e circa sei tornei l’anno, anche fuori dal Lazio, all’estero almeno una volta. Le trasferte si svolgono spesso in Francia, terra fascinosa, dalla cultura ricca e antica, dalla lingua seducente (da cui peraltro deriva l’espressione “terzo tempo”, Troisième mi-temps), dalle svariate suggestioni regionali: abbiamo visitato la Bretagna, lo Champagne, la Normandia, il Cognac, Tolosa e tante altre zone. 

Il momento clou della stagione rimane il torneo casalingo solitamente disputato a fine maggio: il “Piva”, in memoria di Paolo, grande amico che ci ha lasciato qualche anno fa. E’ un evento che porta all’Unione Rugby Capitolina il maggior numero di giocatori Old, una festa del rugby che inizia sul campo e finisce la sera in un colossale terzo tempo.

Qual è stata la lezione personale più dura che ti ha impartito questo sport?

Durante una partita provai a fare una furbata nella speranza che l’arbitro non se ne accorgesse, poco dopo un avversario mi diede volontariamente un calcio sulla mano, guardai l’arbitro pensando che sanzionasse il fallo: mi si avvicinò e disse: “la prossima volta impari a non fare furbate e a non mettere le mani dove non si può” incassai il pestone nelle mani e il rimprovero dell’arbitro, meritata lezione di lealtà. 

Quale la ricompensa più inattesa?

La consapevolezza di me stesso, il senso di padronanza delle mie risorse, e l’amicizia: rispetto a tutti gli altri sport che avevo praticato, il rugby è stato l’unico nel quale ho creato relazioni di amicizia vere, profonde; questa è una grande peculiarità  del rugby, riconosciuta a livello mondiale.

Che cosa a tuo avviso definisce la qualità di un gruppo come il vostro, quali gli aspetti più insidiosi?

La prima qualità è l’amore verso il Club e questo sport, le insidie derivano dai possibili malintesi o scontri, fisiologici in un gruppo numeroso e appassionato. Di solito tutto rientra velocemente, ma è capitato che qualcuno si allontanasse. Essere Old prevede una responsabilità verso l’impegno in campo, quello morale in senso lato, quello professionale, come esempio per i giovani, e certamente finanziario: significa portare con orgoglio i nostri colori nei luoghi visitati, certi del rispetto e riconoscimento riposto in noi.  

Il miglior terzo tempo di sempre?

Provenza 2017, trasferta annuale: il giorno prima l’organizzatore comunica che la partita si sarebbe svolta alle nove “così ce la leviamo” disse, preannunciando l’evento chiave della giornata!

Alle undici del mattino seguente, in una tenuta con tanto di cinghiali allo spiedo in bella mostra, ci accoglie uno spettacolo simile a una corrida, bisognava di togliere gli anelli dalle corna di un toro. Si è mangiato e bevuto per ore fino all’arrivo di un trattore trainante due rimorchi: dopo un tour bucolico dell’intera tenuta, accolti da cassette di frutta fresca, abbiamo proseguito la serata, terminata fino a mezzanotte  solo per la pioggia: un ricordo impresso nei nostri cuori e nelle nostre pance per sempre! 

In cosa consiste la brutalità del rugby? E la bellezza?

La prima è legata all’allegoria della battaglia, alla sublimazione della forza che prevale sull’uomo nell’appagare se stessi, ricompensando l’avversario con lo scontro fisico. La bellezza è l’altra faccia della medaglia, quella dell’intelligenza, della passione che muove il sacrificio e divide i giocatori per ottanta minuti unendoli subito dopo. Questa alchimia tra avversari ne fa lo sport più bello del mondo.

Lo spogliatoio maschile: se potessi descrivere questo microcosmo dal suono delle parole o dai silenzi, come lo descriveresti?

C’è una grossa differenza tra lo spogliatoio di una squadra Seniores e una squadra Old: arriviamo nello spogliatoio in giacca e cravatta, ci spogliamo via via del nostro ruolo professionale quotidiano, delle etichette di cui entrati lì non importa più nulla a nessuno. Apriamo il borsone, preparato magari in ufficio, indossiamo la maglietta rovinata che ti fa sentire bene e piano piano entriamo in un clima allegro, mai troppo teso, salvo partite più intense.

 Si passa dai discorsi più ameni all’inizio, a quelli motivanti, a fine partita lo stesso luogo cambia. Le emozioni vissute in campo, l’euforia, le battute annaffiate dai primi boccali di birra portati puntualmente da qualche compagno. In quel momento si respira la purezza del legame che ci unisce, anche nell’aspetto goliardico: in uno spogliatoio maschile, si sa, ogni pudore è bandito! 

La partita più entusiasmante a cui hai assistito?

Francia Inghilterra del ‘91, partita stupenda. La Francia giocava in casa, perse dopo aver subito alcune ingiustizie arbitrali: vedere a fine match i francesi sconfitti in quella maniera, abbracciare con slancio gli avversari inglesi, mi ha commosso. È incredibile come l’amicizia nel rugby possa prevale sul risultato.

Gli Old si ispirano agli Heavies, la squadra dei veterani nata nel 1971 nell’ambito del Richmond Rugby: tra i più antichi club del Regno Unito con oltre duemilacinquecento membri, più di cento anni di storia alle spalle (risale al 1878 il primo sperimentale incontro nei loro campi col ricorso all’illuminazione), è ispirato a valori d’eccellenza e impegnato in un’efficiente attività di networking. 

Incontrati la prima volta in Bretagna e in seguito ospiti all’Unione Rugby Capitolina per un Sei Nazioni e un “Piva”, hanno ispirato le distintive giacche Old: le stilose righe che tra l’oro delle birre e i sorrisi, tinteggiano gli eventi della famiglia capitolina.

Una volta l’anno radunano le categorie giovanili dall’ U18 al primo quindici e li istruiscono sulle prospettive del loro impegno sportivo: “diventare un futuro Heavy, un uomo consapevole, membro riconosciuto di un club con una tradizione che si tramanda”. Non si tratta solo di lustro, ma di impegno fattivo: gli Old fanno propria questa filosofia, ne è un indicatore il sostegno ai giovani che studiano. Lo scorso anno è stata elargita una borsa di studio per un’annualità di spese universitarie a un giocatore delle giovanili, veicolando il messaggio che diventare Old è un punto di arrivo per i soci capitolini, un cerchio che si chiude, “in quest’ottica, per il prossimo anno prevedo un’ingente attività di volontariato”, conclude Alberto. 

Claudio Tinari ricorda la storia (sia pur interrotta nel tempo), del forse più antico Guy’Hospital Rugby Club, a paradigma del filo conduttore di questa intervista corale: illustrare una fenomenologia semplice, non pretenziosa, della tradizione. Dal latino “tradere”, “consegnare”, la parola presuppone a suo avviso “la memoria dei comportamenti virtuosi di una comunità, nell’ambito dei valori e della Missione del Club. È necessario sviluppare una memoria positiva delle cose buone lasciate alle spalle. Segniamole bene da qualche parte, per riproporle, trasferirle, renderle tradizione”. Parole da padre, da uomo di naturale umiltà, da ex Presidente d’esperienza. 

Chiude Onorio con un’istantanea vivace sul suo discorso ai ragazzi dell’under 20, in occasione di un incontro del Sei Nazioni presso l’antico Gala Rugby Club (nato a Galashiels nel 1880, circa cinquant’anni prima della Fir). I suoi fasti mostravano una tradizione consolidata ai ragazzi, ma nella loro “casa” di via Flaminia 867, germoglia il patrimonio genetico dell’Unione Rugby Capitolina: il pannello dei soci fondatori e dei capitani, le passate maglie del Club e quelle azzurre. Una tradizione acerba, che gli Old sono legittimati a rappresentare. “Il nostro motore” chiude Onorio, “è la lungimiranza”, la capacità di avanzare, come ogni rugbista, oltre il proprio personale apporto. 

Maria Palombella

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