PONTEDERA-CORK: LA SFIDA DEL RUGBY INTEGRATO
Le parole dell’interlocutore di questa mattina si aggirano per il piazzale dell’Unione Rugby Capitolina. È un luogo caro a molti per l’armonia che sa evocare tra suoni, luce e natura: mai un calo di espressività, mai un elemento che prevalga sull’altro: proporzioni perfette per ricordare o dimenticare chi siamo, a seconda della giornata. Un’identità che cambia solo in apparenza col passare delle stagioni: che si giochi a maggio con i tigli nelle narici, a gennaio, infagottati nei kway in una bolla di vapore acqueo, o a metà giugno, nel campo rarefatto dall’aria incandescente.
Daniele Pacini, Responsabile Tecnico del Rugby di Base e del progetto Mixar, introduce gli argomenti seduto ad un tavolo di fronte al campo, perfettamente a proprio agio con la nuvola chiassosa di urla dei bambini che giocano a rugby. Con lo sguardo traverso, un misto di timidezza e rappresentazione appassionata delle proprie convinzioni, sintetizza una breve lectio sulla storia di uno sport che trasuda fascino solo dalla forma del pallone, sulle sue radici storiche, la sua diffusione e suoi scopi.
Esordisce col racconto di Pontedera, manifestazione di sport integrato svoltasi lo scorso maggio in tre giornate dedicate alle varie discipline. Un’occasione per i ragazzi del Mixar di dire la loro divertendosi e un momento d’incontro per le società coinvolte provenienti da otto regioni d’Italia, da Bari e Treviso, passando per Roma, Sieci, Colorno e Cremona. Considerate le distanze non è frequente giocare in maniera continuativa, ecco perché un torneo a cinque squadre, con ben quattro partite ciascuna.
Per Fir un’ottima opportunità per riunire la maggioranza dei club italiani che fanno rugby integrato e indire una riunione di progetto. L’assegnazione del bando Erasmus di partenariato europeo nel 2017 con altre quattro nazioni, Irlanda, Spagna, Inghilterra e Belgio, ha schiuso la prima fase di disseminazione prevista dal progetto Mixar: lo scopo, favorire il contatto del maggior numero di società che fanno rugby integrato e creare una rete e un sistema di confronto per lo sviluppo di tale attività e il miglioramento della pratica.
Ottimo l’esito del torneo sotto il profilo della partecipazione, bellissimo il terzo tempo con musica dal vivo fino a tarda notte. Positivi i feedback di approvazione di tutte le componenti: giocatori, facilitatori di rugby integrato, allenatori ed educatori che portano avanti in maniera specialistica il progetto.
La vision di FIR e il “manuale condiviso”
Si arriva al punto: Fir ha assunto un tratto distintivo, una tesi di fondo sul rugby integrato, che porta avanti con consapevolezza e aderenza agli scopi.
“La visione di Fir del rugby integrato è una filosofia molto particolare in cui ogni club segue un percorso specifico: chi ha un approccio scientifico, legato alla psichiatria, e quindi lavora in contatto con università e centri ospedalieri per il recupero e il sostegno dei ragazzi, chi un approccio soltanto inclusivo e non ha la possibilità o non vuole operare in maniera così approfondita. Fir non sposa l’uno o l’altro di questi approcci: porta avanti la propria visione del rugby quale strumento di inclusività: le famiglie e chi ne fa parte, sono sostenuti nella crescita personale attraverso questo sport”.
Nel cuore del rugby integrato risiede l’opportunità di andare ben oltre le scelte dei club e la pratica sportiva, consentendo ai cosiddetti normodotati di crescere come persone.
A genitori e allenatori, la sfida a migliorare fuori e dentro il campo: affinare la sensibilità, approfondire gli strumenti di conoscenza dell’altro, sono alcuni degli elementi su cui questa pratica induce a riflettere. Se in squadra ad esempio è presente un ragazzo sordomuto, ci si relazionerà con lui in campo trovando forme comunicative adatte alle sue caratteristiche.
Fir si ripromette di approfondire la sensibilità del movimento, migliorando le competenze specifiche dello sport; l’evento di Pontedera riflette al meglio questa filosofia comune, lasciando alla pratica il compito di mostrare come il rugby integrato mitighi gli eccessi di agonismo presenti nella cultura sportiva:
“A un certo punto una squadra non riteneva di poter giocare una partita con placcaggio e i due allenatori hanno deciso di giocare a rugby al tocco: tutti si sono adeguati”.
Durante una recente riunione, si è parlato dell’idea di un “manuale condiviso”, frutto di tutte le esperienze delle varie organizzazioni: La premessa è che a unire sia proprio il nostro sport: nella diversità di approccio, ognuno interpreta la partita adeguandosi alle esigenze dell’altro. Non vogliamo arrivare alla definizione di un regolamento rigido (ad esempio sulla percentuale di facilitatori che deve essere presente). La sua funzione è rendere consapevoli i club che intraprendono questo percorso, delle opportunità e competenze base relative alla pratica, per minimizzarne i rischi.
Fir pensa a una struttura nazionale di supporto alla formazione di responsabili all’interno dei club: alle singole realtà poi il compito di approfondire tematiche comuni”
La vision firmata Fir tratteggia un’etica nuova che è insieme umile e ambiziosa: umile per la scelta di mediazione e di accettazione di tutti i diversi approcci che contiene, ambiziosa perché da questa accoglienza ritiene di poter far nascere un percorso coerente e importante per chi lo intraprende e per la società.
Chi scende in campo per un allenamento Mixar compie allo stesso modo un gesto di umiltà e coraggio: considera essenziale l’attenzione e l’ascolto dell’altro e ne fa un prezioso strumento di avanzamento individuale nel gioco e nella vita. I limiti propri e altrui, la paura, il senso di inefficacia e il tentativo di integrare questi stati d’animo, diventano risorse: contano quanto la forza, l’agonismo e il raggiungimento dell’obiettivo.
Iniziative nazionali e internazionali
Il progetto europeo prevede un ultimo meeting che si terrà a Roma, i primi di novembre, alla presenza dei quattro partner europei: includerà un torneo e un convegno, a suggellare la fase finale del bando, con l’avvio all’incremento e sviluppo del rugby integrato.
“Allo stato attuale dieci società in Italia praticano il rugby integrato. Tre sono nate proprio in questo anno e mezzo in cui abbiamo avviato il progetto europeo: il nostro obiettivo è raddoppiare il numero delle squadre e aumentarne la densità nelle aree finora meno coinvolte”.
Aumentare la competizione riduce il rischio della disaffezione “se io gioco 5 volte l’anno, il rischio di abbandonare lo sport perché non mi diverto o perché trovo qualcosa che mi appassioni di più è più alto che se riesco a giocare dodici quindici competizioni l’anno.”
Attraverso quali forme (campionati, circuiti di tornei, eccetera) dare continuità al percorso sportivo integrato, si delineerà in corso d’opera, cercando un compromesso tra autogestione dei club e centralizzazione: la struttura di Fir servirà ad assicurarsi che gli eventi abbiano luogo regolarmente, lasciando alle esigenze di ogni singolo club la definizione dei calendari.
Un appuntamento di respiro internazionale è previsto a Cork nel 2020, organizzato da Imas, la prima organizzazione con sede in Inghilterra, impegnata a creare un sistema di rugby integrato, partner della rosa europea di cui si è detto. L’evento durerà una settimana e accoglierà club da tutto il mondo, i più distanti dalla Nuova Zelanda, che ha visto finaliste la squadra irlandese del Sunday’s Well Rebels e quella argentina dei Pumpas XV.
“Le iscrizioni sono aperte: il nostro invito a tutti è quello di iniziare a iscriversi al torneo che organizza IMAS a Cork per il 2020”.
L’Italia, si sa, è il paese della cultura, della bellezza, della passione, della generosità: ha tutto il potenziale per “brevettare” ed esportare un eccellente modello di rugby integrato.
E’ chiaro a tutti che fare della retorica su argomenti di questo genere, non richiede doti particolari, ma ad un attento esame si capisce che la causa è nobile e ambiziosa: la tanto nominata “inclusività”, è uno degli elementi embrionali della filosofia sportiva in senso lato e di quella trattata in particolare: alza l’asticella della nostra natura su aspetti spesso dati per scontati, considera il target di sforzo possibile in ognuno di noi la variabile chiave su cui lavorare come sportivi e come esseri umani e si interroga su come farlo.
Maria Palombella