Incontriamo Giamba Venditti

25 Marzo 2021

Giovanbattista Venditti, classe 1990, vanta 44 caps con la maglia azzurra.

Nato ad Avezzano, arriva a Via Flaminia a 15 anni: con la maglia bluamaranto vince i campionati Under 17 ed Under 19. Non fa in tempo a scendere in campo con la Prima Squadra che comincia il suo viaggio con le maglie di GRAN Parma, per poi approdare alle franchigie celtiche di PRO 14 degli Aironi prima e delle Zebre poi, con un breve intermezzo a Newcastle. Nonostante il ricco curriculum Giamba è rimasto molto legato ai colori bluamaranto.

Ciao Giamba, come stai? Come è andato questo primo anno lontano dal rugby giocato?

Sto molto bene, febbraio/marzo è il mio periodo preferito dell’anno, finalmente con il Sei Nazioni si parla un po’ di Rugby. Inoltre ho quasi finito i lavori nella mia nuova casa a Piacenza, finalmente stiamo per trasferirci.

Devo dire che il mio primo anno da ex giocatore è stato molto diverso da come pensavo! Negli anni ho sempre pensato che avrei finalmente potuto godermi certe esperienze da “tifoso”, come le trasferte della Nazionale nel Sei Nazioni, oppure seguire tutte le tappe del circuito delle Sevens World Series, e invece si è fermato tutto.

Ero anche sceso ad Avezzano per giocare le mie ultime partite con l’Avezzano Rugby, dove sono cresciuto, ma la sospensione dei campionati nella passata stagione e il loro annullamento in questa hanno stravolto un po’ i miei piani.

Cresciuto ad Avezzano, hai vissuto tre anni nelle giovanili dell’Unione Rugby Capitolina, ma da quello che possiamo leggere sui social sei rimasto molto attaccato al Club e ai tuoi compagni di allora. Cosa puoi raccontarci della tua esperienza a Via Flaminia?

Sono legatissimo alla Capitolina! Ho passato degli anni stupendi, è stata la mia prima esperienza lontano dalla famiglia: sono arrivato a Roma che avevo quindici anni, tutto quello che ho vissuto è stato incredibilmente speciale e formativo. Molti miei amici si sono trasferiti nella Capitale per studio o lavoro, ma hanno vissuto l’esperienza da giovani uomini già formati. La mia esperienza è stata completamente diversa: è stata quella un ragazzino che ha vissuto giovanissimo lontano da casa e che ha assorbito in fretta tutte le peculiarità della città, è stato un attimo per me sentirmi romano, porterò sempre Roma nel cuore.

Tutto questo grazie ai miei compagni e allenatori che mi hanno dato una grossa mano ad integrarmi e a sentirmi parte della famiglia Capitolina.

Da Avezzano a Roma, poi Parma e Newcastle, e oltre quaranta partite con la Maglia Azzurra. Sei soddisfatto della tua carriera? Qualche rimpianto? Quanti i sacrifici?

Una delle cose che mi è piaciuta di più da giocatore di alto livello è avere avuto la possibilità di girare il mondo, di vedere tante cose, di conoscere nuove culture.

Sono soddisfatto della mia carriera, sin da bambino mi ero dato come obiettivo la maglia azzurra, e ci sono riuscito. Una volta arrivato in Nazionale, però, sentivo che non mi bastava: volevo vincere! E per fortuna, insieme ai miei compagni siamo riusciti a conquistare delle vittorie importanti che hanno fatto la storia della Nazionale e fatto breccia nei cuori dei tifosi, come il successo a Murrayfield nel 2015 contro la Scozia (19-22 per gli azzurri grazie ad una meta all’80’ – Giamba nel primo tempo ha segnato una meta), o addirittura quello con il Sud Africa l’anno successivo (20-18, anche qui meta di Giamba, questa volta nella ripresa). È vero, a livello di Club e di Nazionale sono state molte di più le sconfitte che le gioie (tranne negli anni con l’URC, dove infatti abbiamo vinto due scudetti giovanili), ma le poche vittorie sono state comunque molto importanti.

Sono comunque molto soddisfatto della mia carriera, anche perché sono riuscito nel frattempo a portare avanti tante altre cose dal punto di vista professionale, da quello accademico e da quello familiare! Certo, guardandomi indietro non posso negare che avrei potuto fare di più, però se durante la mia vita sportiva mi fossi buttato a capofitto esclusivamente nel Rugby probabilmente non avrei la splendida famiglia che ho adesso, e non sarei riuscito a completare gli studi in un tempo così breve. Sono felicissimo di come sono andate le cose.

Cosa diresti ad un ragazzo per convincerlo a giocare a Rugby?

Questa è difficile… Probabilmente non gli direi nulla, perché se dovesse aver bisogno di essere convinto quasi certamente il Rugby non è lo sport che fa per lui, e non c’è niente di male in questo!

Secondo me il nostro non è uno sport per tutti, ma non dal punto di vista fisico o atletico: è una questione di mentalità, di passione e di valori che non sono nelle corde di tutti.

Spesso però c’è chi vorrebbe giocare ma ha paura dal punto di vista fisico, perché il Rugby viene ancora visto ingiustamente come uno sport violento. A lui gli direi di non avere alcun timore, perché dal punto di vista sportivo ti da tantissimo. Ti da un senso di competizione e competitività quasi estrema con una risposta immediata (se tu hai il pallone e stai avanzando, vuol dire che il tuo avversario sta andando indietro e puoi metterlo in difficoltà).

Ma soprattutto sono le sensazioni che ti da una volta finiti gli ottanta minuti quelle che ti fanno amare il Rugby: io (e sono certo che questa cosa la potrà dire qualsiasi rugbista, di qualsiasi livello) ho trovato dei fratelli con cui ho condiviso tutto, nel bene e nel male.

Un consiglio che daresti per non mollare in questo periodo difficile senza gare?

Alla fine anche la notte più scura finisce, e il sole sorge di nuovo… Senza dubbio allenarsi sapendo di non giocare la domenica è dura, ma non bisogna perdere la motivazione (anche se non è facile) perché quando finalmente si potrà nuovamente scendere in campo con i propri amici sarà ancora più bello vivere la gioia della gara, del placcaggio, della meta.

Ne vale la pena di aspettare, perché lo sport, e in particolare il Rugby, serve: ai ragazzi, ai genitori, a tutti. Teniamo bene in testa quella bella sensazione di condivisione che eravamo abituati a vivere con i propri compagni ed avversari, perché tornerà. E sarà bellissimo!

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