The Fab Four. Unici e inimitabili. Perché quattro giorni così, di intensa emozione e partecipazione, risuonano nella testa, restano nella pelle e non si dimenticano. Come i sorrisi a piedi scalzi per quella coppa dorata alzata al cielo dai ragazzi dell’under 12 e 11 dell’Urc sotto le classiche brume d’Albione, in una delle scuole di rugby più accreditate d’Inghilterra, con i padroni di casa pronti ad omaggiare i vincitori. A denti stretti e con qualche tirato sorriso è uscito “To win are italians” e il grido capitolino si è mischiato agli abbracci con i rivali e ai complimenti reciproci. Se, come diceva il giornalista e scrittore francese Kleber Haedens, tutto ciò che la vita esige dall’uomo si trova in una squadra di rugby, dentro e fuori dal campo, beh, allora c’è del magico (e del duro lavoro, tecnico e organizzativo) dietro questa trasferta travolgente che ha lasciato una vistosa striscia bluamaranto nel cielo londinese. Nata con il pretesto di entrare nella pancia della storia ovale, quella di Twichenkam, per seguire gli Azzurri nel Sei Nazioni, la “mission” in terra londinese è poi cresciuta e diventata molto altro. Molto di più.
L’organizzazione. Vivere quest’avventura è stato come assistere ad un treno in corsa aumentato con il passare delle settimane di velocità, idee, anime. Perché quando la passione si intreccia con l’organizzazione e lo spirito sportivo è funzionale al divertimento ecco il risultato: un manipolo di cento persone tutte appartenenti ad un’unica famiglia pronte a sbarcare nella City per amore di un pallone sbilenco e della più lucida e ludica delle motivazioni, quella di assistere ad una partita di rugby. Anzi due. Degli azzurri e dei bluamaranto. Quanto allestito in terra londinese dalle due under della Capitolina ha impressionato non solo i suoi stessi ideatori e partecipanti, consapevoli strada facendo del “mostro” organizzativo che stavano costruendo. Anche qualche dirigente federale ha spalancato gli occhi alla luce dei numeri che gli venivano elencati: “Così tanti? Neanche la nostra delegazione arriva a quelle cifre”. Si può rimanere storditi, restare spiazzati, ma queste “follie” sono il valore aggiunto, il carattere peculiare che differenzia un semplice gioco da una cultura dello sport e della partecipazione. Con quattro mesi di lavoro – sette in verità perché si era in spiaggia sotto l’ombrellone quando si sbirciavano voli, pernotti e disponibilità degli inglesi – si è riusciti a mettere insieme una quattro giorni ubriacante (e senza bere troppi boccali di birra), per seguire l’Italia e nel contempo organizzare in loco un torneo di categoria in una delle strutture più gloriose e funzionali dell’intero panorama britannico.
La Partita. I ragazzi della U12 e della U11, ospitati nella struttura degli Old Albanian Rugby Football Club, nell’Hertfordshire, capace di offrire una delle migliori sezioni di rugby giovanile del paese, con circa 900 giocatori che ogni domenica sono impegnati sui campi, hanno tenuto alto l’onore dell’Urc con uno splendido successo nel torneo cui hanno preso parte due squadre locali, due urchine, il Chesham e una selezione dal nome altisonante e preoccupante (Baa Baa, come i Barbarians). Giocare nella casa dove si allenano i Saracens, in un contesto fascinoso e pieno di storia li ha spinti a dare il massimo vincendo 8 partite su 10. Cinque match ciascuno in rapida sequenza, senza tempi morti e senza pioggia se non qualche goccia nel finale a rendere il “clima” ancora più suggestivo, tipicamente british. Sorpresi dalla buona organizzazione urchina, i tecnici degli Old Albanian hanno assistito ad una serie di incontri di livello, alcuni anche molto tirati. “Troppo bello, vorrei non finisse mai”, dicevano in coro insaziabili capitolini, tra quelli che il giorno prima al St. James Park non avevano resistito ad una rapida partitella per “scaldarsi”. Imbattibile è stata l’ospitalità e l’accoglienza del club inglese che, in uno scenario che ogni appassionato sogna di vivere (non è facile vedere l’allineamento di oltre dieci campi in erba in perfetto stato), ha allestito un buffet pre-gara nella fascinosa club-house non proprio dietetico cui i nostri hanno fatto fatica a resistere nonostante le avvertenze per possibili ripercussioni intestinali.
“Templi” e musei. Ma anche per efficienza (noleggiati addirittura due pullman), puntualità e iniziativa la famiglia degli urchini non è stata inferiore. Il tutto senza mai tralasciare la scoperta di angoli di storia e di cultura, respirando l’atmosfera regale offerta da questa trasferta unica. Non è mancata la visita prima del torneo alla cattedrale di St. Albans cui ha fatto seguito il giorno dopo quella a Buckingham Palace (con tanto di cambio della guardia), le scorribande con l’ovale sottobraccio tra un monumento e un altro con abbozzo di sfida con i papà, il viaggio nel museo della scienza, le cene a tema.. nelle foreste pluviali e quelle festose per celebrare compleanni (candeline per l’urchino Carlo Modulo). Ma a stregare tutti è stata la lunga marcia verso il “tempio” di Twickenham, il cuore del rugby dove ha trovato spazio un piccolo spicchio tricolore con tanto di coro capitolino ripreso anche dalle tv e non sfuggito ai protagonisti in campo.
Il vantaggio dell’Italia contro i Maestri inglesi dopo il primo tempo è stata magica illusione. Per i ragazzi urchini e la sua delegazione affiatata, invece, è stato tutto vero. Più di un sogno.
N.B.: La “costruzione” di tutto questo lo si deve ad una ormai collaudata squadra di genitori appassionati, papà e mamme tenaci sempre piene di iniziative. Da Luisa a Giulia, da Valerio a Michele, da Ben a Max: un team dove ognuno ha fatto la sua parte in maniera impeccabile, dato il suo contributo creando le basi per allargare ancora di più la famiglia (splendida l’integrazione con l’U11) e programmare altre trasferte “unforgettable”. Il merito più grande va però ai tecnici e alla società che hanno creato un gruppo autentico. Che si consolida nel tempo.