Cosa Resta.
Cosa resta? Nelle case che li hanno ospitati dei piccoli souvenir, impacchettati nella carta con felci verdi e gialle, magliette, teli per asciugare i piatti con le due isole neozelandesi. “Ecco veniamo da qui, vedi? Tauranga”. 400mila abitanti, la loro scuola con 2mila ragazzi, tutti maschi (“la scuola femminile è poco più in là”), 13 squadre di rugby.
Gordie e Logan erano ospiti da noi. Solo la prima sera, arrivati alla macchina hanno sbagliato la parte da cui salire, loro che hanno il passeggero a sinistra e il guidatore a destra. Poi più. Adattabilità, capacità di reagire alla situazione. Vi dice niente? Doti decisive nel rugby.
Chi li ha avuti a casa sa che hanno mangiato molte uova, molto bacon, carne, frutta, pasta. Tutto quello che c’era. Hanno fatto colazioni iperproteiche. Hanno chiesto di usare la lavatrice, si sono rifatti il letto prima di uscire di casa. Camminavano a piedi nudi, anche per strada. E’ stato loro spiegato che a Roma, sui nostri marciapiedi, è meglio di no.
Li abbiamo visti al campo, quando giochicchiavano allenandosi, a piedi nudi appunto, e, dopo, in partita. Alcuni elementi su tutti: skills, doti atletiche, comunicazione.
Skills. Sanno calciare, passare la palla, schivare, placcare, scegliere gli angoli di corsa. Su tutti la velocità di passaggio e la precisione con cui viene effettuato. Elementi che hanno fatto la differenza, più della stazza fisica.
Doti atletiche. Sono veloci, e lo sono per tutta la durata della partita. Non si impara solo sul campo di rugby, si impara a scuola. Abbiamo potuto toccare con mano il limite più duro da superare per il nostro rugby, sia quello di base sia quello di élite. La differenza sta nell’apporto della scuola negli anni cruciali per la formazione degli atleti. Ci hanno detto che nel college dei nostri avversari si esercitano 36 diverse discipline sportive. 36: provate a immaginarlo. Se il loro numero 11 ci ha segnato una meta con un cambio di velocità che ha lasciato attoniti il diretto avversario e noi sulla tribuna, la ragione non sono solo le qualità personali.
Comunicazione. Il loro parlare in campo contro il nostro silenzio sporadicamente interrotto da qualche indicazione. Ce n’eravamo accorti durante il loro allenamento, tutti parlavano per comunicare al compagno cosa stavano per fare quale fosse l’avversario su cui ognuno si concentrava. Il giorno dopo c’era Argentina-All Blacks, seguendola con l’audio originale si sentivano, chiaramente, le voci del campo, quelle dei neozelandesi che comunicavano fra loro, in continuazione. E’ una scuola, rientra nell’organizzazione del gioco.
Il rugby degli antipodi ci ha mostrato le nostre difficoltà, e così facendo ci ha indicato la strada per superarle. Bella esperienza, da ripetere. Dobbiamo aprirci al mondo e il rugby è il modo migliore per farlo. The world in union, come dice l’inno della coppa del mondo.
Alessandro Cecioni