Mamma, andiamo al campo !
Una volta, tanto tempo fa, si scendeva a giocare in strada con gli amici. Non ci si dava appuntamento, si scendeva e basta, magari con un pallone sotto il braccio. Rotondo, ovviamente. Si facevano partite interminabili e ci si divertiva con poco. Il muretto, il campetto, il bar dietro casa erano il centro di aggregazione. Poi, non tanto lentamente, strade insicure e la necessità, da parte dei genitori, di collocare i figli in un’attività ludica, formativa. E allora il nuoto, la scuola di calcio, la danza per le femminucce. Le palestre naturali, la strada, la villa, hanno ceduto il posto a strutture istituzionalizzate più dettate dalla moda del momento o dal passaparola che da una scelta ponderata. E il rugby. Uno sport visto come violento, per uomini rudi, non certo per bambini che hanno necessità di essere educati. E una volta questo gioco si iniziava tardi, io a diciassette anni, perché non si conosceva o lo si conosceva in modo molto parziale e solo attraverso immagini sfocate in tv o attraverso l’amico di famiglia che lo faceva in modo pionieristico. Oggi è diverso, e con l’avvento del “Six Nations” dal 2000, si è prodotto un impulso notevole tanto da riempire lo stadio Olimpico ad ogni partita della Nazionale. Le Società hanno puntato sui vivai e l’età per iniziare a giocare a rugby si è abbassata progressivamente, adesso addirittura dai quattro – cinque anni. E sulla scia dei piccoli, papà e mamme si sono accostati al nostro gioco partecipando come tifosi alle partite, assistendo agli allenamenti, costituendo quel salotto che a bordo campo o nella club house si genera spontaneamente. Visi che man mano diventano familiari, compagni di giornate piacevolmente assolate ma anche di pomeriggi o serate freddissimi. La merenda del sabato o il compleanno festeggiati sotto il gazebo sono diventati una tradizione e non è trasgredire se, di passaggio, un “intruso” mangi un pezzo di pizza o beva una coca cola ad una festa. Dapprima distrattamente poi sempre più con interesse si cerca di conoscere gli altri delle altre categorie, per i ragazzi sul campo è un fatto naturale sia dal più piccolo verso il grande che viceversa. E poi ogni anno il biennio che ciascuna categoria comprende si forma, si trasforma arricchendosi di persone nuove, di storie diverse. E così via, sentendo il piacere di andare a vedere le partite delle altre categorie, dei “grandi”, la domenica, unendo una puntata al ristorante, una partita di calcio sul sintetico e la tintarella dietro la staccionata. Il seme sta germogliando. Dal far fare sport ai figli si è passati a vivere lo sport fatto di appartenenza nel momento in cui si varca quel cancello su via Flaminia, quest’anno in bella evidenza grazie a UNIONE RUGBY CAPITOLINA a caratteri cubitali. Quel senso di appartenenza che dà linfa alle nostre squadre, che ne genera altre, dalla squadra OLD alle mamme del Flag, che fa sì che ci si senta in famiglia e si trascorra volentieri il tempo al di là dell’ora e mezza di allenamento. “Mamma, andiamo al campo!”
Andrea Lijoi